Fondi per le infrastrutture intelligenti, così si favorisce la ripresa
Le economie mondiali saranno colpite pesantemente dalla pandemia. I finanziamenti a nuove strutture strategiche aiuteranno la crescita. Ma devono essere innovative per evitare ulteriore cementificazione
Le ricadute della pandemia di coronavirus Covid-19 saranno pesanti per l’economia dei Paesi più sviluppati e, a cascata, per tutto il mondo. L’entità della recessione globale che si prospetta deriva soprattutto dalla durata del contagio e dal modo in cui le autorità finanziarie risponderanno al disastro.
Gli economisti generalmente ritengono che la spesa per le infrastrutture abbia un significativo “effetto moltiplicatore”: ogni unità di moneta spesa in infrastrutture genera un ritorno economico molto superiore in termini di aumento del Prodotto interno lordo (Pil) e dell’occupazione. Per questo molti osservatori insistono sulla necessità di realizzare e finanziare piani infrastrutturali globali, sull’esempio di quanto fatto da Franklin D. Roosevelt negli Stati Uniti con il “new deal”, lo strumento legislativo che ha gettato la base degli Usa moderni e ha consentito la realizzazione con fondi pubblici di alcune delle maggiori reti globali, portando l’America fuori dalla recessione.
Attenzione però a non trasformare questa opportunità in un’orgia di cemento e devastazione ambientale: il focus di queste iniziative deve concentrarsi sulle opere sostenibili e su quelle che danno maggiore impulso ai settori più vicini alle tematiche dell’ambiente e della ricerca.
Le previsioni sulla recessione in arrivo
James Bullard, governatore della Federal Reserve di St. Louis, stima un incremento del 30% del tasso di disoccupazione negli Stati Uniti e una riduzione del Pil pari al 50% nel secondo trimestre. Il calo dei redditi sarà pari a 2.500 miliardi di dollari. Secondo Bullard sarà necessario intervenire con un pacchetto di stimoli gigantesco.
Federal Reserve Bank of St. Louis President James Bullard said that the U.S. should declare a three-month break for nonessential businesses https://t.co/YtDTqAtKVT
— Bloomberg (@business) March 23, 2020
Secondo il Diw Ifo (Institut für Wirtschaftsforschung), il principale istituto di ricerca economia della Germania, il Pil tedesco potrebbe subire una contrazione compresa tra il 7,2 e il 20,6%.
Germany's IFO: Coronavirus crisis to cost economy between EUR255-729 bln in 2020 https://t.co/VQ1vtnV14y #Germany #Coronavirus #Macroeconomics
— FXStreet News (@FXStreetNews) March 23, 2020
Tempi foschi per l’Eurozona
L’effetto ovviamente non risparmierà l’Eurozona. Secondo stime degli analisti di Moody’s, contenute nel report “Covid-19: Global Economic Tsunami”, il Pil dell’area dell’Euro nel 2020 segnerà una flessione del 2,7%, con un tonfo del 5,7% nel primo trimestre e del 7,4% nel secondo trimestre. Si registrerà una ripresa solo nel quarto trimestre, quando è previsto che il Pil aumenti dell’1,6%. Le stime della società di rating sull’andamento del Pil globale nel 2020 vedono un calo dello 0,4% e per gli Stati Uniti una flessione dello 0,5%.
Covid-19 «ha creato uno tsunami economico mondiale. L’economia globale è immersa in una grave recessione», spiegano gli analisti di Moody’s. «Il virus – proseguono – ha portato alla chiusura di parti significative delle economie asiatiche e ora europee e statunitensi». Secondo S&P Global Ratings, nell’Eurozona e nel Regno Unito il Pil quest’anno diminuirà del 2% per le ricadute economiche della pandemia, con una perdita di 420 miliardi di Pil reale nel 2020. È invece previsto un graduale rimbalzo di almeno 3% nel 2021.
Ma i rischi sono ancora al ribasso. La pandemia potrebbe infatti durare più a lungo ed essere più diffusa di quanto attualmente previsto. La società di rating stima che un eventuale blocco di quattro mesi potrebbe ridurre il Pil della zona Euro fino al 10% nel 2020.
The eurozone and U.K. economies now face full-year economic contractions as coronavirus-containment costs quickly mount. Read our latest research on the topic: https://t.co/WrzHIeW7KQ pic.twitter.com/Agp6oybsTK
— S&P Global Ratings (@SPGlobalRatings) March 27, 2020
La risposta economica in Cina
Secondo un articolo del South China Morning Post, nel 2008, nel tentativo di gestire la crisi finanziaria globale, la Cina aveva implementato un pacchetto di stimolo da 4 trilioni di yuan (520 miliardi di euro). Gia a fine febbraio così è scattata la corsa a una nuova ondata di investimenti in infrastrutture: almeno sette delle 31 province cinesi hanno pubblicato lunghi elenchi di progetti di investimento negli ultimi due mesi, con un investimento combinato di circa 25 trilioni di yuan (3.270 miliardi di euro), di cui 3,5 trilioni di yuan (455 miliardi di euro) per il 2020.
I progetti sono spesso “liste di desideri” per le autorità locali che richiedono ancora risorse fiscali e finanziarie.
«Il modo più semplice ed efficace per contrastare la recessione economica rimane la costruzione di infrastrutture. Può stabilizzare la crescita, l’occupazione, liberare il potenziale di crescita e migliorare la competitività a lungo termine», ha affermato Ren Zheping, capo economista di China Evergrande, principale sviluppatore immobiliare del paese, ex ricercatore presso il Centro di ricerca per lo sviluppo del Consiglio di Stato.
In particolare, ha osservato Ren, l’attenzione della Cina per gli investimenti nelle infrastrutture dovrebbe essere rivolta alle telecomunicazioni 5G, all’intelligenza artificiale, all’Internet industriale, alle città intelligenti, all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Ma Lu Ting, capoeconomista di Nomura sulla Cina, ha avvertito che il grande stimolo non è una cura per i problemi della Cina. Potrebbe infatti portare a risultati indesiderati come alta inflazione, bassa efficienza e rischi finanziari in aumento.
Le nuove disposizioni della Commissione europea
Il 16 marzo il presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato che il finanziamento della politica di coesione e il Fondo di solidarietà della Ue svolgeranno un ruolo centrale nell’iniziativa di investimento sulla risposta al coronavirus.
EU takes action on all fronts to reduce the spread of the coronavirus, help procure medical equipment, support research on treatment and vaccines, prop up the economy to save people’s jobs and support companies – and much more.#coronavirus. pic.twitter.com/v0vAKfD9a8
— Dana Spinant (@DanaSpinant) March 29, 2020
L’iniziativa intende mobilitare tutte le risorse di bilancio esistenti della Ue per fornire sostegno finanziario agli Stati membri per la loro risposta immediata alla crisi del Coronavirus e il suo impatto a lungo termine. Ciò include anche il reindirizzamento dei fondi di coesione. Questo contribuirà a anticipare agli Stati membri l’utilizzo del finanziamento della politica di coesione di 37 miliardi non ancora allocato nell’ambito dei programmi della politica di coesione 2014-2020,. Fornirà così un impulso necessario agli investimenti economici.
La Commissione sta inoltre rendendo ammissibili tutte le spese connesse alla crisi del Coronavirus in base alle norme della politica di coesione. I Paesi membri godranno di maggiore flessibilità per riallocare le risorse finanziarie nelle aree di maggiore necessità: il settore sanitario, il sostegno alle piccole e medie imprese (Pmi) e al mercato del lavoro.
La risposta della Banca europea per gli investimenti
Sempre il 16 marzo il gruppo Bei (Banca europea per gli investimenti) ha annunciato misure per mobilitare fino a 40 miliardi di euro in risposta alla crisi causata dal coronavirus Covid-19. Il presidente della Bei, Werner Hoyer, ha chiesto un sostegno ancora maggiore e ha proposto l’istituzione di una garanzia sostanziale e scalabile per garantire che la Bei e le banche promozionali nazionali possano assicurare l’accesso ai finanziamenti necessari alle Pmi.
“We need an immediate pan-European response,” says EIB President Werner Hoyer https://t.co/txrwoGWF1J
— POLITICOEurope (@POLITICOEurope) March 24, 2020
La Bei, insieme al Fondo europeo per gli investimenti specializzato nel sostegno alle Pmi, lavorerà attraverso intermediari finanziari negli Stati membri e in collaborazione con banche nazionali di promozione e sostegno economico.
Il pacchetto di finanziamento proposto comprende regimi di garanzia dedicati alle banche basati su programmi esistenti, mobilitando finanziamenti fino a 20 miliardi; linee di liquidità dedicate alle banche per garantire ulteriore sostegno al capitale circolante per le Pmi e le medie imprese di 10 miliardi; programmi di acquisto di titoli garantiti da attività (Abs) per consentire alle banche di trasferire il rischio sui portafogli di prestiti alle Pmi, mobilitando altri 10 miliardi.
Gli investimenti nelle infrastrutture degli Usa
Uno studio del 2014 dell’Università del Maryland ha rilevato che gli investimenti nelle infrastrutture Usa hanno aggiunto fino a 3 dollari alla crescita del Pil statunitense per ogni dollaro speso, con un effetto maggiore durante una recessione.
La società di consulenza globale McKinsey stima che un aumento della spesa per le infrastrutture pari all’1% del Pil degli Stati Uniti aggiungerebbe 1,5 milioni di posti di lavoro all’economia americana. Per ora, però, il pacchetto di stimoli economici da 2mila miliardi di dollari (1.820 miliardi di euro), progettato dall’Amministrazione Trump e approvato all’unanimità dal Congresso Usa dopo una lunga trattativa, finanzia solo alcuni interventi nelle infrastrutture sanitarie con 130 miliardi di dollari (meno di 120 miliardi di euro). Ma le necessità della rete di infrastrutture strategiche americane, accumulate in decenni di ritardi, sono enormemente superiori.
Nel 2019 il Congressional Budget Office (Cbo, l’ufficio del Congresso di Washington che offre analisi sull’economia e sulla spesa pubblica federale statunitense) ha stimato che nel 2017 la spesa combinata federale, statale e locale degli Stati Uniti per le infrastrutture era stata pari a 441 miliardi di dollari (400 miliardi di euro). Questo dato era pari a circa il 2,3% del Pil degli Stati Uniti. Un valore ben al di sotto delle stime della spesa necessaria per mantenere le infrastrutture in buono stato.
La stima del Cbo sulla spesa per infrastrutture di trasporto e acqua in percentuale del Pil rappresenta il livello più basso in oltre 60 anni: il massimo era stato raggiunto alla fine degli anni ‘50 ed era pari al 3% circa del Pil Usa.
Non solo strade e ponti. Anche reti idriche sotto stress
Dal canto suo, l’Associazione degli ingegneri civili americani ha compilato regolarmente “pagelle” sullo stato delle infrastrutture statunitensi sin dagli anni ‘80. Nel suo rapporto del 2017, l’Asce rilevava che l’infrastruttura degli Usa aveva in media un voto insufficiente. Le condizioni delle infrastrutture civili sono «per lo più al di sotto dello standard», presentano «un significativo deterioramento» e un «forte rischio di rottura».
L’associazione stimava che ci fosse un gap infrastrutturale che richiedeva un investimento di quasi 1.500 miliardi di dollari (1.365 miliardi di euro) entro il 2025. Altri analisti concordano sul fatto che il deficit di investimenti infrastrutturali è grande. Secondo il Dipartimento dei trasporti Usa, solo per mantenere la rete attuale di strade e ponti sarebbero necessari oltre $800 miliardi (730 miliardi di euro).
Anche le reti idriche ed energetiche del Paese sono sotto stress. L’Agenzia per la protezione ambientale stimava che i sistemi di gestione di acqua potabile, acque reflue e irrigazione richiederanno investimenti aggiuntivi per 632 miliardi di dollari (575 miliardi di euro) nel decennio 2019-2028. Per i ricercatori di McKinsey, serviranno 150 miliardi di dollari (135 miliardi di euro) all’anno tra il 2017 e il 2030 per tenere il passo con le esigenze infrastrutturali del Paese.