Andrà tutto male (per ora). Cronaca di una crisi senza limiti

Come la Grande Depressione. O forse peggio. La crisi economica in corso può essere devastante. La ripresa è possibile ma costerà migliaia di miliardi

Matteo Cavallito
Nel breve periodo la crisi globale in corso potrebbe generare una contrazione economica peggiore di quella sperimentata all’inizio della Grande Depressione. Foto: Anna Shvets, Pexels, Free to use. No attribution required
Matteo Cavallito
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La crisi è tra noi, improvvisa e devastante. Come nel 2008, anzi molto peggio; perché alla fine dei conti l’eventuale contrazione di credito sarà solo l’ultimo dei problemi. Il mondo è momentaneamente chiuso, ha sintetizzato l’Economist. E infatti… Almeno 1,5 miliardi di individui sottoposti a lockdown, come dire un quinto della popolazione mondiale. Interi settori congelati, consumi bloccati, industrie ferme o addirittura riconvertite come accade in tempo di guerra.

Perché di guerra si tratta, almeno nella percezione dell’Occidente cresciuto nel mito dell’ineluttabilità del binomio pace-benessere e ora travolto dall’incubo semi-distopico, dalla paura, dall’angoscia, dal diffuso senso di impotenza e dalla rabbia repressa che anticipa la depressione. Perché sì, anche di depressione si tratta. Grande, enorme, come 90 anni fa anche se sarà tutto più rapido, improvviso e frenetico. Ma non meno apocalittico, questo è ovvio, sul fronte dei numeri.

La crisi travolge gli USA

Impossibile per ora convergere su una stima condivisa ma l’ordine di grandezza è ormai evidente. La crisi si misura in contrazioni a doppia cifra e allora via alle scommesse. JPMorgan ipotizza che l’economia statunitense possa ridimensionarsi del 14% nel secondo trimestre dell’anno. Bank of America alza la stima al 25%, in linea con la previsione di Goldman Sachs (24%). Morgan Stanley parla addirittura di meno 30 punti percentuali, un tracollo capace di spingere il tasso di disoccupazione a quota 12,8%. Ma non mancano le ipotesi peggiori.

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Il presidente della Federal Reserve di Saint Louis James Bullard, in una recente intervista, è arrivato a prefigurare un collasso senza precedenti: -50% sul Pil e tasso di disoccupazione al 30%. Ragionando sul breve periodo parliamo di numeri peggiori di quelli registrati durante la Grande Depressione. Più incubo che disperazione, più Conrad che Steinbeck: l’orrore. Appunto.

Italia: quasi 650 miliardi a rischio

Partiamo dall’Italia, un epicentro in tutti i sensi. Per tornare alla piena riapertura del Paese, sostiene Confcommercio, bisognerà attendere il mese di ottobre. Risultato: un calo dei consumi di oltre 52 miliardi di euro e una contrazione del Pil pari al 3%. Preoccupante l’analisi di Cerved Group: nel biennio 2020-21, secondo l’agenzia, le imprese italiane potrebbero perdere dai 270 e i 650 miliardi di fatturato. Il divario tra le stime è legato in primo luogo alla durata dell’epidemia. Tra i settori maggiormente colpiti, ovviamente, turismo e automotive. Per quest’ultimo, in particolare, si parla di un calo del 25% registrato sui volumi nel 2020 con un inevitabile impatto su una filiera di oltre 5.500 aziende che impiegano 1,2 milioni di lavoratori.

Recessione globale

Impressionanti le stime a livello globale. JPMorgan ipotizza che l’economia europea subirà una contrazione del 22% nel corso del secondo trimestre. Il Regno Unito registrerebbe un clamoroso -30% contro il -16% medio delle economie avanzate. Resiste il Giappone (-1%), cala sensibilmente l’America Latina (-11,6%) mentre il dato globale – Cina esclusa – segna meno 13,7%. Ed è proprio il dato cinese, per ora, a fornire implicite speranze al resto del mondo.

Sempre secondo JPMorgan, Pechino dovrebbe chiudere il secondo trimestre con una crescita del 57,4% dopo il -40,8 registrato tra gennaio e aprile. È la famosa ipotesi della ripresa a V, ovvero la tesi del rimbalzo. In sintesi: la serrata antivirus congela la produzione e manda a picco il Pil ma la successiva ripresa delle attività ci riporta rapidamente ai livelli pregressi. Andrà davvero così?

Curve pericolose

La teoria, è noto, fornisce diversi tipi di curve. Quella a U rappresenta più o meno il concetto di cui sopra ma con un scomodo intermezzo di stagnazione; la curva a L implica al contrario l’ingresso dell’economia nella fase più temuta: quella di una nuova grande depressione.

Nouriel Roubini, economista superstar di chiara a riconosciuta fama, respinge ogni facile ottimismo. «Ogni componente della domanda aggregata – ovvero consumi, capitali investiti ed esportazioni – vive una caduta libera senza precedenti» ha scritto di recente. E ancora: «La crisi generata dalla diffusione del Covid-19 è qualcosa di completamente diverso, l’attuale contrazione non assomiglia a una curva a V, a U o a L; sembra una I: una linea verticale che rappresenta il crollo dei mercati finanziari e dell’economia reale».

Tre strade obbligate

Secondo Roubini le strade da percorrere, simultaneamente è ovvio, sono tre:

  1. un massiccio contenimento dell’epidemia (tramite quarantena, tracciamento del contagio, sviluppo di farmaci antivirali e di un vaccino);
  2. una rinnovata politica monetaria ultra espansiva (business as usual, insomma;
  3. un maxi piano fiscale di sostegno alle famiglie (e alle imprese) che «nelle economie avanzate dovrebbe innalzare i livelli di deficit dall’attuale 2-3% del Pil a quota 10% o più».

Come dire: nuovo debito, sì, ma pienamente «monetizzabile», aggiunge Roubini. Il che, pare di capire, significherebbe realizzare emissioni straordinarie acquistabili dalle banche centrali a tassi artefatti e forse un giorno, verrebbe da aggiungere volando con la fantasia ma mica tanto, cancellati con il colpo di spugna di uno swap (lo scambio dei bond emessi con altri titoli non cedibili a rendimento nullo e che non scadono mai). La cara vecchia suggestione giapponese, giusto?

Estremismo monetario?

Il tema è complesso, semplificarlo sarebbe un insulto alla logica. Ma una cosa è certa: «Date le circostanze – scrive ancora Roubini – quegli interventi proposti da tempo dall’ala sinistra della Scuola della Modern Monetary Theory, a partire dall’helicopter money, sono diventati mainstream». Rischi enormi, per carità.

Le piogge di denaro che tanto eccitano un certo populismo non sono una panacea. E le scelte monetarie estreme sono spesso l’anticamera delle bolle speculative.

Il fatto, però, è che col passare delle settimane cresce forte la sensazione della svolta epocale, di un prima e di un dopo, di un abbattimento progressivo dei tabù teorici. Avanza, insomma, l’idea della terapia d’urto contro una crisi che, a differenza della precedente, non investe il mercato del credito bensì l’intero sistema di produzione e di distribuzione delle risorse.

Lo stimolo fiscale? Costa $26.000.000.000.000

No, non basterà innaffiare il sistema di denaro. Ma è certo che le misure di sostegno saranno avranno costi enormi. Alcuni settori – dal trasporto aereo al turismo, per citare due esempi scontati – potrebbero subire danni difficilmente riparabili. Gli impatti sociali rischiano di essere ancor più gravi di quelli sperimentati con la crisi precedente. Secondo l’International Labour Organization (ILO), la recessione globale potrebbe bruciare in ultima analisi quasi 25 milioni di posti di lavoro, contro i 22 milioni cancellati nel biennio 2008-09. Per i nuovi disoccupati si parla di una perdita massima pari a 3.400 miliardi di dollari.

Hamish Douglass, presidente del fondo australiano Magellan Financial Group Ltd, stima che le politiche fiscali elaborate dai governi in risposta alla crisi (le stesse evocate da Roubini) implicherebbero costi compresi tra il 20 e il 30% del Pil globale. In pratica, osserva Bloomberg, si tratterebbe di mobilitare fino a 26 trilioni di dollari, circa 9mila miliardi in più – per capirci – rispetto al controvalore del debito statunitense attualmente sul mercato. Ammesso che basti.

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