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OCSE: salvare la sanità per salvare vite ed economia

Intanto l'OMS invita ad alzare dell'1% di PIL gli investimenti in sanità pubblica. E lancia la proposta di una copertura sanitaria universale

La salute, prima di tutto. Serve un nuovo piano Marshall per rilanciare la sanità pubblica globale e contrastare la recessione economica. Parola di Angel Gurría, segretario generale dell’OCSE, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, anch’essa impegnata a limitare i danni provocati dalla pandemia da coronavirus. Proprio la crisi di uno dei migliori sistemi sanitari al mondo come quello italiano, fortemente indebolito dai tagli al personale medico, paramedico e alle strutture ospedaliere, ha reso evidente il pericolo globale che, potenzialmente, tutte le nazioni corrono.

OMS: tutti gli Stati devono investire almeno l’1% in più di PIL su sanità pubblica

Già nel 2019, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva sollecitato gli Stati a tornare a investire in assistenza sanitaria primaria. Quanto? Almeno l’1% in più del loro prodotto interno lordo. Fondi necessari per raggiungere, entro il 2030, la cosiddetta copertura sanitaria universale, l’Universal Health Coverage (UHC) uno dei principali obiettivi di sviluppo sostenibile prefissati dalle Nazioni Unite nel 2015.

A oggi, in piena pandemia, secondo i dati OMS, almeno metà della popolazione mondiale non accede ai servizi sanitari essenziali. Circa 100 milioni di persone sono in povertà estrema per pagare di tasca propria l’assistenza sanitaria. E oltre 930 milioni di persone (circa il 12% della popolazione mondiale) spendono, per essa, almeno il 10% del budget familiare.

Spesa sanitaria in percentuale del PIL, 2018 (o anno più recente). Fonte: OECD Health Statistics 2019, WHO Global Health Expenditure Database.

Effetto coronavirus: sistemi sanitari indeboliti dai tagli sotto stress e recessione

Ma proprio l’escalation del contagio da COVD-19, con migliaia di vite umane perse e il lockdown dei Paesi più industrializzati, ha riportato in luce l’importanza della salute collettiva e le sue ricadute immediate, sull’economia globale. Con effetti imprevedibili per gli stessi analisti finanziari.

Come ha ricordato il segretario generale Ocse, ogni possibile previsione economica è stata smentita nel giro di poche settimane. Mentre, è emersa la debolezza anche dei sistemi sanitari più avanzati, a cui, negli ultimi decenni, sono state sottratte risorse umane e strutturali.  «La crisi COVID-19 ha messo a nudo le carenze evidenti nei nostri sistemi di assistenza sanitaria. Dal numero di letti di terapia intensiva alle sottodimensionamento della forza lavoro. Dall’incapacità di fornire mascherine sufficienti e distribuirle».

Non aspettare a produrre il vaccino

Nell’immediato, uno dei primi obiettivi, secondo l’OCSE, ora, è quello di raggiungere al più presto la produzione di vaccini e la loro diffusione in scala planetaria, attraverso una maggiore cooperazione internazionale in ambito scientifico e adeguati investimenti. «Se il vaccino per il coronavirus SARS-CoV-1 fosse stato sviluppato all’epoca dell’epidemia, avrebbe accelerato lo sviluppo di quello necessario per affrontare l’epidemia attuale. I due virus sono simili all’80%. Oggi, le agenzie di regolamentazione, come la U.S. Food &Drug (FDA) negli Stati Uniti, e l’Agenzia Europea per i vaccini europea (EMA), dovrebbero lavorare insieme per rimuovere gli ostacoli normativi», ha ribadito Gurria.

Intanto, per far fronte al «terzo e più grande shock economico, finanziario e sociale del 21° secolo, dopo l’11 settembre e la crisi finanziaria globale del 2008», l’OCSE ha creato una piattaforma che mette a disposizione analisi mirate per gli Stati membri. A partire proprio dalle misure immediate da intraprendere sia sul versante sanitario che economico. L’obiettivo è quello di fornire, attraverso la comparazione dei vari sistemi sanitari e della loro resilienza, le possibili vie d’uscita alla crisi planetaria.

Sanità e misure per l’economia in cima all’agenda

Incrementare il numero degli operatori sanitari, le forniture mediche necessarie e proteggere i gruppi sociali più a rischio, restano, invece, le priorità. Nell’immediato, è la spesa pubblica, secondo quanto sostenuto dal segretario dell’OCSE, che deve prendere in carico il trattamento per tutti i pazienti. Anche nei Paesi dove l’assistenza sanitaria è privata o a carico degli utenti.

Occorrono, poi, interventi sulle popolazioni, con sussidi per la disoccupazione dei lavoratori dipendenti, trasferimenti economici ai lavoratori autonomi e ai più vulnerabili. Prevedendo, per le imprese, il ritardo di pagamento delle tasse, riduzioni temporanee dell’IVA, migliore accesso alle linee di credito e garanzie statali. Così come misure speciali di sostegno devono essere previste per le PMI, in particolare quelle nei servizi e nel turismo.

Secondo gli economisti, dopo il culmine della crisi, in cima all’agenda globale dovrebbe esserci un programma di investimenti ben pianificato, in particolare nella ricerca, nello sviluppo e nelle infrastrutture della salute. Per fare ciò, i governi dovrebbero promuovere politiche comuni, in modo coordinato, per finanziare misure «cuscinetto» in grado di attutire l’impatto negativo per le economie, già in atto, e accelerare la ripresa.

Una copertura sanitaria universale da $200 miliardi

Già lo scorso settembre davanti all’assemblea dell’Onu, era stato presentato il rapporto di monitoraggio globale della copertura sanitaria universale, a cura dall’OMS, con contributi della Banca mondiale, dell’OCSE, del Fondo delle Nazioni Unite per la popolazioni e l’UNICEF. Dal rapporto era emerso come, proprio i Paesi in area OCSE e più industrializzati, avessero tagliato o investito poco nella sanità. «È scioccante vedere una parte crescente della popolazione che fatica a sbarcare il lunario, perché sta pagando troppo per la propria salute, anche nelle economie avanzate» aveva sottolineato, in quell’occasione Angel Gurría.

Secondo la relazione OMS, occorrerebbero, almeno 200 miliardi di dollari all’anno nel potenziamento dell’assistenza sanitaria di base, nei paesi a basso e medio reddito. Un aumento di circa il 3% sui 7,5 trilioni (miliardi di miliardi) di dollari già spesi per la salute a livello globale ogni anno. In questo modo si potrebbero salvare 60 milioni di vite, aumentare l’aspettativa di vita media di 3,7 anni entro il 2030 e contribuire in modo significativo allo sviluppo socio-economico.

Entro il 2030 occorrono 18 milioni di operatori sanitari in più 

Ma dove trovare le risorse? La maggior parte dei finanziamenti dovrebbe venire proprio dal ridistribuzione delle risorse interne a ogni Paese, aumentando la spesa pubblica per la salute in generale o riallocando la spesa per l’assistenza sanitaria di base, o facendo entrambe le cose. Investimenti diversificati che permetterebbero, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, di soddisfare, per esempio, la crescente domanda di operatori sanitari, con almeno 18 milioni di operatori sanitari aggiuntivi. Portando globalmente a 40 milioni di posti di lavoro nel settore sanitario, entro il 2030.

Per la salute, i paesi OCSE spendono molto ma non sempre al meglio 

Dati alla mano, poi, non sempre chi spende di più spende meglio a parità di prestazioni e copertura sanitaria. Le spese per la salute sono state di circa 4mila dollari a persona, in media nei paesi OCSE. Gli Stati Uniti hanno speso più di tutti gli altri paesi con un margine considerevole, (oltre 10mila dollari per residente), insieme alla Svizzera con 7317. L’Italia 3.428, contro i 5.986 della Germania e i 6.197 della Norvegia. Il Messico ha speso il minimo: circa 1.150 dollari per residente.

Se in passato la spesa sanitaria aveva superato la crescita economica, negli ultimi anni, proprio come accaduto in Italia, aveva subito un rallentamento. Coronavirus permettendo, le nuove stime indicano che la spesa sanitaria complessiva, sia sostenuta degli Stati che dai cittadini, «out of pocket», dovrebbe raggiungere il 10,2% del PIL entro il 2030 nei paesi OCSE.  Contro la media dell’’8,8% nel 2018.

Spesa sanitaria paesi OCSE OECD 2018 in USD dollari
Spesa sanitaria pro capite in dollari, 2018 (o anno più recente). Fonte: OCSE Statistics 2019, WHO Global Health Expenditure Database.

Aumentare la qualità dei servizi, contenere la spesa

Anche per questo le riforme per migliorare l’efficienza economica restano fondamentali. Un esempio viene dal maggiore uso di farmaci generici capace di generare risparmi sui costi, nonostante questa tipologia rappresenti solo la metà del volume dei medicinali venduti nei paesi OCSE. Così come tassi di ospedalizzazione più bassi, o la redistribuzione di mansioni tra medici, infermieri e altri operatori sanitari, può alleviare contenere la spesa e migliorare l’efficienza.

Aumentare la qualità dei servizi sanitari e ospedalieri, non solo migliora la salute e prolunga l’aspettativa di vita sana, ma può anche far risparmiare denaro. Resta ancora da fare, però: quasi il 5% dei pazienti ospedalizzati ha avuto infatti un’infezione associata all’assistenza sanitaria tra il 2015 e il 2017. Così come gli oltre 5mila medici.

OMS: nel 2030, senza assistenza sanitaria 5 miliardi di persone

Senza dimenticare che con l’invecchiamento della popolazione, aumenterà la domanda di servizi sanitari, in particolare per l’assistenza a lungo termine. Entro il 2050, la percentuale della popolazione di età pari o superiore a 80 anni sarà più del doppio.

«Se siamo seriamente intenzionati a raggiungere una copertura sanitaria universale e a migliorare la vita delle persone, dobbiamo prendere sul serio l’assistenza sanitaria di base», ha affermato Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’OMS davanti all’assemblea delle Nazioni Unite che, solo lo scorso settembre, aveva sottoscritto l’impegno per lo sviluppo della sanità globale e pubblica. Il rischio, con i trend attuali, è che 5 miliardi di persone ne restino, invece, escluse. Ma, come la pandemia da coronavirus sta dimostrando, senza adeguate risorse sanitarie umane e strutturali, nessuno potrà ritenersi al sicuro.

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