Il vaccino arriverà, ma a quale prezzo? Spunta l’ipotesi nazionalizzazione

In ballo miliardi, ma anche la salute pubblica. Per Mariana Mazzucato il vaccino deve essere disponibile a tutti a prezzi accessibili. Deve intervenire lo Stato

Mariana Mazzucato

Quando sarà disponibile un vaccino per il coronavirus? È questa la domanda più diffusa in questo tragico momento storico. Ma in realtà la domanda da porsi sarebbe un’altra: quando sarà disponibile un vaccino, sarà accessibile a tutti? A quel prezzo? E, tra le righe, chi ci guadagnerà?

Queste le domande alle quali bisogna dare risposta. Faranno la differenza riguardo a “quando” e “come” usciremo dalla pandemia. Lo sostiene Mariana Mazzucato, in un recente articolo pubblicato sul New York Times, scritto a quattro mani con Azzi Momenghalibaf, responsabile del programma di Open Society Public Health di New York.

Mariana Mazzucato, economista italiana di nascita, ma dal curriculum internazionale (insegna Economia dell’innovazione e del valore pubblico presso l’University College London, dove ha fondato e dirige l’Institute for Innovation and Public Purpose-IPP), da un mese si occupa da vicino della questione coronavirus. A fine febbraio, infatti, è diventata consigliere economico del premier Giuseppe Conte, per lavorare alle misure di contrasto degli effetti economici del Covid-19.

Per l’economista italiana se il vaccino verrà scoperto negli Stati Uniti, sarà finanziato dal governo. E «a meno che non sistemiamo il sistema – scrive la Mazzucato – i contribuenti americani saranno investiti da un vaccino che hanno pagato per produrre».

E qui spunta la soluzione: nazionalizzare l’industria farmaceutica. Che si tratti di Usa o di un altro Paese, «lo Stato dovrebbe svolgere un ruolo maggiore nel settore». A sostenerlo è sempre Mariana Mazzucato, sul British Medical Journal. Per far sì che il vaccino sia reso disponibile a tutti, a prezzi accessibili. E i proventi non finiscano tutti nelle tasche delle aziende farmaceutiche.

Un vaccino per tutti?

Il vaccino per il coronavirus arriverà, questo è certo. La corsa a chi lo troverò per primo è partita. Al momento ci sono circa 35 progetti in corso in tutto il mondo, con una gara tra Stati e aziende farmaceutiche. In ballo ci sono miliardi. Nei prossimi mesi (quanti esattamente non è dato saperlo) verrà scoperto, testato e messo sul mercato. Ma le domande cruciali riguardano la sfera economica: quanto costerà? E, di conseguenza, chi potrà permetterselo? E, infine, chi ci guadagnerà: lo Stato (qualsiasi esso sia) o una casa farmaceutica? Questo a fronte di cospicui finanziamenti da parte del settore pubblico.

A fine febbraio scorso il segretario alla salute Usa, Alex Azar aveva affermato di non poter garantire che il vaccino per il coronavirus, quando verrà scoperto, sia accessibile a tutti. Questo nonostante i significativi investimenti dei contribuenti nel suo sviluppo.

«Le compagnie farmaceutiche non tengono conto dell’interesse pubblico e si concentrano incessantemente sui rendimenti a breve termine», scrive Mariana Mazzucato. «Nel caso del vaccino del coronaviurs, come per gli altri trattamenti sanitari, invece, l’interesse pubblico dovrebbe essere considerato primario».

E il vaccino dovrebbe essere reso disponibile a tutti e a prezzi accessibili. Evitando che le industrie farmaceutiche facciano enormi profitti appropriandosi privatamente del frutto di ricerche di base finanziate da fondi pubblici.

Il caso Usa: spese pubbliche, profitti privati

«Dall’epidemia di SARS del 2003, gli Stati Uniti, attraverso il National Institutes of Health, hanno speso quasi 700 milioni di dollari in denaro dei contribuenti per la ricerca sul coronavirus, più di qualsiasi altro Paese – scrive Mariana Mazzucato sul NYT – Il National Institutes of Health versa ogni anno 40 miliardi di dollari nell’innovazione sanitaria. Finanziamenti che hanno contribuito a ciascuno dei 210 nuovi farmaci approvati dalla Federal Drug Administration dal 2010 al 2016».

E continua: «Come leader mondiale nel finanziamento pubblico della ricerca biomedica, il governo degli Stati Uniti ha l’opportunità di stabilire un precedente per garantire che i farmaci sviluppati con finanziamenti pubblici siano disponibili ed economicamente accessibili al pubblico. Questo avrebbe enormi implicazioni, non solo sul modo in cui trattiamo il coronavirus, ma anche sulla crisi delle medicine inaccessibili in America».
Come si possono mantenere bassi i prezzi dei farmaci? L’economista italiana cita una lettera inviata il 20 febbraio da 46 leader di altrettanti Stati negli Usa:

«Chiedono che i vaccini contro il coronavirus e i trattamenti sviluppati con i soldi dei contribuenti siano prodotti senza concedere una licenza esclusiva ai produttori privati».

Al momento non funziona così. Negli Usa, «al contrario – spiega Mariana Mazzucato – il governo concede l’esclusiva alle società farmaceutiche per condurre lo sviluppo di farmaci nella fase successiva su invenzioni finanziate pubblicamente, senza richiedere che questi farmaci siano ampiamente accessibili. Queste licenze esclusive consentono alle compagnie farmaceutiche di godere di un monopolio e di applicare prezzi esorbitanti per le tecnologie mediche sviluppate con fondi pubblici».

«Stiamo ancora una volta consegnando i frutti della ricerca finanziata con fondi pubblici a società a scopo di lucro senza vincoli»

Un esempio concreto: «In virtù di un accordo concluso con Regeneron Pharmaceuticals, l’autorità federale per la ricerca e lo sviluppo avanzato biomedico ha accettato di pagare l’80% dei costi di sviluppo e produzione dei trattamenti per il coronavirus, senza che i prodotti finali siano accessibili», spiega ancora l’economista italiana. «Allo stesso modo, un altro promettente farmaco sperimentale per il trattamento del coronavirus, il remdesivir, è stato sviluppato con l’aiuto della ricerca finanziata dai contribuenti».

Nazionalizzare l’industria farmaceutica?

Una soluzione: nazionalizzare l’industria farmaceutica. Mariana Mazzucato ne spiega i benefici sulle colonne del British Medical Journal. «Sostengo la proprietà statale dell’intera industria farmaceutica? No. Ma credo che lo Stato dovrebbe svolgere un ruolo maggiore nel settore», scrive l’economista.

L’economista italiana in tutti i suoi scritti attribuisce allo Stato un ruolo cruciale. Lo Stato in generale, che si parli di Usa, Uk o Italia. Sta pensare, in particolare a “Lo Stato innovatore”, ma anche in “Ripensare in capitalismo”,  e nell’ultimo “Il valore di tutto”.

«Il settore pubblico è una pietra miliare dell’industria farmaceutica, dove spesso assume il rischio più elevato nelle prime fasi dell’innovazione – spiega la Mazzucato – Anche il settore privato è cruciale nel portare sul mercato medicinali all’avanguardia, ma il suo orientamento al breve termine e il disallineamento con l’interesse pubblico sono determinanti. In primo luogo, le aziende danno la priorità al “successo” e al ritorno economico, non investendo, ad esempio, in farmaci commercialmente non convenienti, ma spesso estremamente importanti per la salute pubblica. In secondo luogo, il prezzo di questi medicinali non tiene conto del contributo di altri attori, comprese le istituzioni pubbliche».

«Lo stato – spiega ancora – dovrebbe governare il processo di innovazione del comparto farmaceutico, come un regolatore del mercato: guidare l’innovazione, ottenere prezzi equi, garantire che i brevetti e la concorrenza funzionino in modo corretto, stabilire le condizioni per il reinvestimento e salvaguardare l’offerta di medicinali. Non si tratta di colpire il big pharma – che ovviamente, gioca un ruolo importante – ma di trovare un modo per governare un sistema che oggi non funziona, a discapito del settore pubblico, che ha investito in alcune delle fasi più rischiose di sviluppo di farmaci».

Una nazionalizzazione, anche se parziale, del comparto potrebbe quindi essere una soluzione: «In questo contesto – scrive Mariana Mazzucato – laddove gli strumenti politici convenzionali non possono effettuare i necessari cambiamenti nel settore farmaceutico, esiste un’argomentazione valida per un’opzione pubblica:

medicinali forniti dal governo, garantiti universalmente disponibili a prezzi ragionevoli e a prezzo fisso, che coesistano con i prodotti del settore privato.

Ciò richiede che il governo sia coinvolto più direttamente nel coordinamento e nell’esecuzione dell’intera gamma di attività, dall’innovazione alla produzione di farmaci e che mantenga un livello sufficiente di controllo».

«C’è bisogno di un sistema in cui i settori pubblico e privato lavorino insieme – conclude l’economista – Non si tratta di colpire Big Pharma; si tratta di rivendicare l’attenzione sulla salute e l’interesse pubblico in un settore che è stato troppo a lungo guidato dal profitto».

«La crisi di Covid-19 ci impone di trovare urgentemente vaccini e trattamenti e di farlo in un modo che risolva alcuni dei fallimenti fondamentali del nostro sistema attuale. Speriamo che questa lezione duri oltre l’attuale crisi e ci prepari meglio per la prossima».

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