Coronabond, anche il think tank liberista tedesco li approva: «Basta indugi, sono indispensabili»
Il presidente dell'IFO, Clemens Fuest: è davvero il momento della solidarietà europea. La Ue deve muoversi unita. Servono titoli di debito comuni a lunghissima scadenza
«È veramente arrivato il momento in cui non si può fare a meno della solidarietà europea. La lotta contro la crisi in Italia, in Germania, in ogni singolo Paese membro dell’Unione europea è nell’interesse comune di tutti i cittadini del nostro continente. La crisi è infatti di tutta l’Europa ed è molto importante che venga mantenuta sotto controllo in tutti i Paesi. Per questo riterrei giusto che gli europei in questa situazione si assumessero, tutti insieme, i costi o almeno una parte dei grandi costi di questa crisi. Che si chiamino Eurobond o Coronabond».
Clemens Fuest è tra i primi cinque economisti più importanti della Germania (al secondo posto) in base alla classifica annuale stilata dall’autorevole Frankfurter Allgemeine Zeitung. Soprattutto, è presidente del think tank “simbolo” del pensiero economico liberista, l’IFO di Monaco di Baviera, uno dei principali istituti di ricerca economica in Germania.
Un aspetto da non sottovalutare, perché rende ancora più significative le sue analisi sulla crisi e le sue proposte per contrastarla efficacemente.
Professor Fuest, sulla partita della coronacrisi si giochi l’esistenza dell’Euro e della stessa Europa?
È possibile, se facciamo le scelte sbagliate. Per questo in questa crisi la solidarietà europea è importante. Dobbiamo dimostrare di essere uniti. Non dobbiamo solo parlare ma mettere in campo anche interventi finanziari comuni. Dobbiamo utilizzare le risorse del budget europeo e dobbiamo riuscire, insieme, a mettere a disposizione risorse ulteriori, come per esempio un bilancio comunitario straordinario o un finanziamento straordinario della Banca Europea per gli Investimenti (BEI). Sui singoli strumenti si può discutere, la cosa importante è che in questa crisi l’Europa sia unita.
Poi, quando la crisi sarà passata, il grande problema sarà quello di pagare gli enormi debiti accumulati negli Stati membri. La zona euro dovrà affrontare una grande sfida in questo senso. È quindi tanto più importante che ci facciamo carico già ora di alcuni dei costi insieme, in modo che i debiti di cui ogni singolo Stato dovrà farsi carico alla fine siano inferiori. Per questo motivo sono anche a favore di un finanziamento congiunto dei costi della crisi da parte degli Stati europei per un periodo di tempo limitato.
La BCE ha adottato un programma per l’acquisto di titoli di Stato per un totale di 750 miliardi di euro. Trova questa misura convincente?
Sè. È un modo per inviare ai mercati finanziari un messaggio chiaro: non c’è nessun motivo, ora, di vendere titoli di Stato di alcuni Paesi, titoli di Stato italiani, tedeschi o portoghesi. Grazie all’intervento della BCE può continuare ad esserci una forte domanda di questi titoli. Inoltre la BCE comprerà anche titoli obbligazionari di imprese, in modo che le banche e le imprese abbiano accesso alla liquidità. Anche questo segnale è molto importante perché al momento gli investitori privati sono molto avversi al rischio, temono la crisi e i mercati sono molto fragili. Se si diffondesse il panico tra gli investitori, ciò renderebbe la crisi ancora più grave.
La politica monetaria è sufficiente ad arginare la crisi generata dal Coronavirus in Europa?
La politica monetaria può aiutare affinché non si crei panico nei mercati finanziari, facendo in modo che ci sia abbastanza liquidità. Ma da sola non basta affatto: può solo impedire che gli effetti collaterali della crisi diventino troppo pesanti. Questa crisi che porta a uno stop della produzione in interi settori europei non può certo essere spazzata via dalla sola politica monetaria.
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Intanto però la frase di Christine Lagarde (“Non siamo qui per ridurre gli spread”) ha creato scompiglio. Come valuta la dichiarazione della Presidente della BCE?
Quella dichiarazione si riferiva al mandato della BCE e quindi tecnicamente era corretta. Ma, sebbene rapidamente rettificata dalla stessa Lagarde, nell’attuale situazione di crisi non era una cosa intelligente da dire. Ora abbiamo bisogno di un messaggio molto chiaro: tutti i Paesi dell’area Euro saranno aiutati nel caso ci siano problemi di liquidità e la BCE è a disposizione nell’ambito del suo mandato. È molto importante per evitare che nei mercati finanziari si creino dubbi sul possibile fallimento di Paesi dell’Eurozona. Non possiamo permetterci un ritorno della crisi del debito sovrano.
Oltre agli interventi BCE, cos’altro è necessario?
L’epidemia interessa tutti i Paesi, è una crisi di tutta l’Europa e per questo sarebbe giusto che i costi della crisi fossero sostenuti da tutti i Paesi membri dell’Unione. Lo ripeto: è davvero arrivato il momento in cui non si può fare a meno della solidarietà europea.
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Il ministro italiano dell’Economia, Roberto Gualtieri ,parla di urgente necessità di emettere Eurobond, titoli del debito pubblico europei. Che cosa ne pensa?
Utilizzerei un’altra definizione, parlerei di “Corona-bond”. Ma voglio dire la stessa cosa: finanziamenti europei comuni con i quali si possa far fronte a questa crisi. Naturalmente la prima domanda, quando emettiamo questi titoli di debito, è quale Stato debba poi ricevere i soldi, ma si potrebbe trovare un criterio, per esempio si potrebbe stabilire che i soldi siano distribuiti in base a quanto i singoli Paesi siano stati colpiti, in base alla gravità dell’epidemia.
Sembra però che sia la Germania sia i Paesi del Nord Europa abbiano di nuovo assunto un approccio rigorista e intransigente.
Il problema è che la definizione “Eurobond” è avvelenata. Nei Paesi del nord Europa viene intesa come condivisione di tutti i debiti degli Stati. Ma non stiamo parlando di questo. Qui parliamo del finanziamento di costi specificamente sostenuti in questa crisi, di un indebitamento comune per un periodo di tempo limitato con un debito che però potrebbe avere una lunga scadenza ed essere ripagato in molti anni, se non decenni. Una soluzione del genere io la appoggerei. Se non agiamo in modo congiunto e solidale adesso, quando dovremmo farlo?
Potrebbero diventare una sorta di “perpetual bond” europei?
I “perpetual bond” sono uno strumento particolare, della cui opportunità si può discutere. Non li chiamerei così: in ogni caso parliamo di titoli di Stato con una scadenza molto lunga, perché dopo la crisi le finanze pubbliche saranno sotto pressione e gli Stati non dovranno essere costretti a ripagare rapidamente i nuovi debiti contratti.
La Germania ha deciso di dare 50 miliardi di trasferimenti diretti, a fondo perduto, ai lavoratori autonomi. Siamo alla dottrina dell’helicopter money di cui parlava Milton Friedman? O è qualcosa d’altro?
No, non è “helicopter money”, che in questa crisi sarebbe uno strumento sbagliato. Oggi abbiamo persone pesantemente colpite dalla crisi mentre altri non sono colpiti (ad esempio i lavoratori statali o i dipendenti di aziende che offrono servizi pubblici). Per questo dobbiamo concentrare le nostre forze nell’aiuto di quelli che avranno veramente dei problemi. Il governo tedesco sta solo diffondendo aiuti per i lavoratori autonomi danneggiati dall’attuale situazione.
Quindi lei è del parere che le misure intraprese da Donald Trump negli Stati Uniti non siano la cosa giusta da fare? O gli Stati Uniti sono un caso a parte?
Gli Stati Uniti sono un caso particolare: non hanno uno Stato sociale sviluppato, a differenza della Germania e, in generale, dell’Europa. Qui il welfare State protegge la grande maggioranza della popolazione. Per questo è comprensibile che in America ci sia un approccio più ampio ai contributi, perché ci sono molte più persone colpite dalla crisi. Alla fine, però, nemmeno negli Stati Uniti si può parlare di “helicopter money” perché anche lì la banca centrale non darà soldi proprio a tutti.
U.S CORPORATE DEBT HAS CLIMBED TO AN ALL-TIME HIGH IN THE DECADE SINCE THE FINANCIAL CRISIS…
BRING ON MORE STIMULUS
BRING ON MORE QE
BRING ON HELICOPTER MONEYBRING ON MORE PRINTING MACHINES pic.twitter.com/teKxh3kNce
— Gold Telegraph ⚡ (@GoldTelegraph_) April 3, 2020
Abbiamo la sensazione che alla fine di tutta questa storia niente sarà come prima. Gli stati si indebiteranno enormemente, di fatto rompendo le regole europee. Come occorrerà affrontare questo debito? Come cambierà il mondo e la sua economia secondo lei?
Dobbiamo vedere come si svilupperà questa crisi. I debiti degli Stati sicuramente aumenteranno ma non sappiamo ancora di quanto. Dopo la crisi dovremmo concentrarci prima di tutto per uscire da questa recessione e far ripartire la crescita. Solo quando ce l’avremo fatta, penseremo a un piano di medio periodo per consolidare di nuovo le finanze degli Stati. Ora è giusto sospendere le regole europee sull’indebitamento e contrastare la crisi in via prioritaria e a questo devono contribuire anche i singoli Stati.
È un via libera a fare più debiti il suo?
Nel mezzo di una crisi è giusto aumentare il livello dell’indebitamento degli Stati. Solo più in avanti, a crisi superata, potremo pensare insieme a come far scendere di nuovo quel livello.
Sarebbe di secondaria importanza l’entità del nuovo indebitamento? Se ad esempio l’Italia dall’attuale 135% del rapporto debito/Pil arrivasse al 200% come è ora in Giappone oppure se la Germania, dal suo 60% arrivasse al livello italiano?
No, non è per nulla secondario. È un problema molto serio. Ma non è un valido motivo per affermare che ora non ci si debba indebitare. Ora è giusto concentrarsi sulla stabilizzazione dell’economia. Per farlo, gli Stati si devono indebitare e lo possono fare: gli investitori al momento sono alla ricerca di investimenti sicuri. Non dobbiamo però pensare che un livello di indebitamento molto alto dopo la crisi non sarà un problema. Lo sarà sicuramente anche perché la zona Euro non è il Giappone e anche lì questo livello di indebitamento è un problema.
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Come si può controllare la crescita di quel debito?
L’aumento del livello di indebitamento degli Stati – lo ripeto – è cosa giusta. Ma ovviamente la crisi non deve essere una scusa per sprecare denaro. Dobbiamo senz’altro chiederci se le misure che mettiamo in campo siano veramente mirate ed efficaci.
Nell’estate del 2012, Mario Draghi, all’epoca presidente della Banca Centrale Europea, dovette dire che la BCE avrebbe fatto tutto il possibile (“whatever it takes“) per salvare l’Euro. Potrebbe ora ripetersi la stessa situazione?
Sì, i mercati ne hanno bisogno ma mi pare che la Ue sia pronta a ribadirlo. I ministri delle finanze si sono già espressi in questa direzione. Forse bisognerebbe ripeterlo ufficialmente: questo è un momento ‘whatever it takes‘.