Meno missili, più tamponi. La scelta miope di tagliare la sanità e aumentare le spese militari
Mentre il numero di posti letto è crollato a 3,2 ogni mille abitanti e sono stati tagliati 43mila operatori sanitari, la spesa militare cresce anno dopo anno
Barattereste 32mila posti di terapia intensiva per fare in modo che l’aviazione militare italiana possa mettere nei propri hangar 16 aerei F35? Oppure rinuncereste a comprare più di 5 miliardi di mascherine per avere una nuova portaerei e una manciata di elicotteri e mezzi blindati?
Sembrano proposte fuori di testa, perfettamente in linea con i più cinici “pesci d’aprile”. È invece l’esemplificazione di quanto avrebbe potuto fare l’Italia sul fronte sanitario se negli ultimi anni non avesse aumentato le proprie spese militari. Senza contare, per di più che, nel frattempo, le spese per la sanità hanno subito progressive contrazioni.
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Per le armi crescita costante. Per la salute no
Le comparazioni possono essere fatte leggendo i numeri dell’ultima analisi sviluppata dalla Rete Italiana per il Disarmo su dati dell’Osservatorio Mil€x e della Fondazione GIMBE – Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze, think thank bolognese di politica sanitaria.
«La spesa sanitaria ha subito una contrazione complessiva rispetto al PIL, passando da oltre il 7% a circa il 6,5% previsto dal 2020 in poi» si legge in una nota di Rete Disarmo. Intanto, «la spesa militare ha sperimentato un balzo avanti negli ultimi 15 anni con una dato complessivo passato dall’1,25% rispetto al PIL del 2006 fino a circa l’1,40% raggiunto ormai stabilmente negli ultimi anni (a partire in particolare dal 2008 e con una punta massima dell’1,46% nel 2013)». In pratica è aumentata di poco meno di 3 miliardi di dollari.
Calcolando che un posto letto di terapia intensiva “vale” circa 80mila euro (15mila per il letto vero e proprio, 30mila per il ventilatore, 16mila per i monitor con i parametri vitali e 20mila per altre attrezzature indispensabili), con gli stessi soldi se ne sarebbero comprare oltre 30mila.
In particolare, le stime dell’Osservatorio Mil€x degli ultimi due anni descrivono una spesa militare di circa 25 miliardi di euro nel 2019, (cioè 1,40% rispetto al PIL) e di oltre 26 miliardi di euro previsti per il 2020 (cioè l’1,43% rispetto al PIL), quindi quasi ai massimi dell’ultimo decennio.
Le voci di spesa militare
Ma cosa comprendono questi costi? Al loro interno sono ricompresi sia quelli delle 36 missioni militari all’estero (ormai stabilmente pari a 1,3 miliardi annui circa) sia quelli del cosiddetto “procurement militare”, cioè di acquisti diretti di armamenti. Una cifra che negli ultimi bilanci dello Stato si è sempre collocata tra i 5 e i 6 miliardi di euro annuali.
Sono i fondi che servono a finanziare lo sviluppo e l’acquisto da parte dell’Italia di sistemi d’arma come i caccia F-35 (almeno 15 miliardi di solo acquisto per 90 velivoli), le fregate FREMM e tutte le unità previste dalla Legge Navale (6 miliardi di euro complessivi) tra cui la “portaerei” Trieste (che costerà oltre 1 miliardo), elicotteri, missili. E poi vanno aggiunti i 7 miliardi di euro “sbloccati” dalla Difesa e dal MISE, in particolare per mezzi blindati e la prevista “Legge Terrestre” da 5 miliardi (con Leonardo principale beneficiario).
Intanto nella sanità crollano i posti letto
Contemporaneamente, rivelano i dati della Fondazione GIMBE, nel settore sanitario sono stati tagliati oltre 43mila posti di lavoro e in dieci anni si è avuto un definanziamento complessivo di 37 miliardi con numero di posti letto negli ospedali sceso a 3,2 ogni mille abitanti nel 2017 (la media europea è del 5).
«Nel decennio 2010-2019 – si legge in un rapporto del settembre scorso – il finanziamento pubblico del SSN è aumentato complessivamente di € 8,8 miliardi, crescendo in media dello 0,9% annuo, tasso inferiore a quello dell’inflazione media annua pari a 1,07%. In altre parole, l’incremento del FSN nell’ultimo decennio non è stato neppure sufficiente a mantenere il potere di acquisto».
Le drammatiche notizie delle ultime settimane dimostrano che probabilmente le due scelte (spese militari su e spesa sanitaria giù) non siano state esattamente lungimiranti. «Non sono le armi e gli strumenti militari a garantire davvero la nostra sicurezza» commenta Francesco Vignarca, portavoce della Rete Disarmo. «La sicurezza è al contrario promossa e realizzata da tutte quelle iniziative che salvaguardano la salute, il lavoro, l’ambiente (per il quale l’Italia alloca solamente lo 0,7% del proprio bilancio spendendone poi effettivamente solo la metà)».
Né cambierà qualcosa di sostanziale con il decreto “Cura Italia” che il governo ha licenziato nei giorni scorsi. I 25 miliardi di misure economiche straordinarie per rispondere all’emergenza sanitaria del SARS-CoV2 sono la stessa cifra del bilancio annuale per la Difesa. «Quanto si potrebbe fare di più risparmiandoci le spese militari anche in tempi ordinari?» si domanda Vignarca.
Le mosse di Trump per far salire ancora il budget militare italiano
A peggiorare la situazione, c’è un ulteriore fattore. Nei prossimi anni, la spesa militare potrebbe crescere ulteriormente. L’amministrazione statunitense a guida Trump sta infatti spingendo da anni affinché gli alleati NATO incrementino il proprio bilancio militare portandolo al 2% rispetto al PIL (e la controversa esercitazione “Defender Europe”, portata avanti nonostante la crisi coronavirus è un tassello della sua strategia). Per l’Italia questo significherebbe un ulteriore esborso di almeno 10 miliardi di euro ogni anno. A voi il divertimento di immaginare che cosa si potrebbe fare, invece, con quei soldi.