Il metano: la falsa soluzione per la transizione energetica

Il gas naturale inquina meno di petrolio e carbone, ma inquina. Come “soluzione ponte” per approdare alle rinnovabili non ha ragione di esistere

Andrea Poggio
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Andrea Poggio
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Addio al carbone e al petrolio. Convertire rapidamente la produzione energetica verso fonti rinnovabili. Ma nel frattempo possiamo anche chiudere un occhio sul metano, che inquina sì, ma meno di altri combustibili fossili.

Si può sintetizzare così la tesi di chi – e sono in molti – sostiene che il gas naturale possa passare come accettabile, almeno in una fase di transizione verso un’economia davvero pulita. Ed è vero che il metano inquina meno, ma inquina, secondo recenti studi, più di quanto si immaginasse. E, se vogliamo salvare il Pianeta, non possiamo accettare compromessi. Bisogna concentrare tutte le nostre forze verso una produzione energetica a impatto zero.

Anche il metano inquina

Quando si parla di gas climalteranti – quelli che, se diffusi nell’atmosfera, contribuiscono al climate change – si pensa subito all’anidride carbonica (CO2). Ma non è l’unica sostanza che inquina l’aria. C’è per esempio anche la CH4, la formula chimica del metano, che provoca un “effetto serra” anche superiore rispetto all’anidride carbonica. Ma ha una emivita più breve: dopo dieci anni, cioè, metà del metano in atmosfera si trasforma in vapore acqueo e in CO2. Questo ha ridotto le preoccupazioni riguardo l’inquinamento da metano: come – consentitemi la semplificazione – se si trattasse di una lenta combustione prolungata negli anni. Se la presenza di metano nell’atmosfera non cresce, perché quella nuova emessa ogni anno è pari alla quantità che si ossida spontaneamente (il 2%), il metano ha un “effetto serra” costante e limitato. Per questa ragione sino ad ora ci si è preoccupati essenzialmente della continua crescita delle emissioni di CO2, rispetto alle quali il metano, pur svolgendo la sua parte di “colpevole” tra i combustibili fossili, si presentava ancora come “il più pulito”.

A parità di apporto energetico, il metano è responsabile di minori emissioni di CO2 rispetto al petrolio (25% in meno) e ancor meno del carbone (quasi la metà). Quindi, il metano non fa bene al clima, ma è meno peggio di altri combustibili fossili.

L’aumento del metano

La preoccupazione è cresciuta quando la presenza media del metano nell’atmosfera terrestre, dopo un periodo di sostanziale stabilità tra il 1990 e il 2007, ha ripreso a salire rapidamente.

Il trend delle medie mensili delle concentrazioni globali di metano in atmosfera (NOAA)

Quale poteva essere la causa? Si sono accusati gli allevamenti bovini, il maggior consumo di gas naturale e le relative fughe del sistema estrattivo e distributivo; si è puntato il dito sul “fracking”, il nuovo sistema estrattivo dello “shale gas” basato sulla frantumazione idraulica delle rocce argillose ricche di idrocarburi, sviluppato da una quindicina d’anni soprattutto nel Nord America. Ma non si avevano ancora le prove scientifiche definitive.

Una nuova ricerca svela quale metano aumenta

Una nuova ricerca di Robert W. Howarth, pubblicata da una delle più autorevoli riviste scientifiche del settore, ha raccolto le analisi del metano presente nell’atmosfera terrestre negli ultimi anni e ne ha studiato per così dire il “DNA”, permettendo di individuare con precisione l’origine chimica del metano presente in atmosfera.

Si i è scoperto che il tipo di metano che è aumentato nell’atmosfera in parte ha un’origine biologica (biogenica) – proviene da paludi, allevamenti bovini, risaie, discariche – e in parte si è liberato spontaneamente da depositi superficiali o da attività minerarie in fase di estrazione, deriva cioè dai giacimenti fossili. Oppure “pirogenica”, cioè dalla combustione incompleta nelle abitazioni o nell’industria.

Ebbene il nuovo “shale gas” ha una ben definita composizione isotopica propria, intermedia tra il metano di origine biogenica e quella fossile. In questo modo Howarth è riuscito a spiegare la nuova impennata della presenza nell’atmosfera di metano, distinguendo tra le componenti “storiche” e le nuove concentrazioni, dovute ai giacimenti di shale gas e al metodo estrattivo capace di liberare maggior quantità di idrocarburi e inquinare le acque.

Tutta colpa dello shale gas

Howarth conclude che «le maggiori emissioni di metano da combustibili fossili probabilmente superano quelle provenienti da fonti biogeniche nell’ultimo decennio (dal 2007). L’aumento delle emissioni di gas di scisto (forse in combinazione con quelle di olio di scisto) costituisce per oltre la metà dell’aumento totale delle emissioni di combustibili fossili».

«Quindi la commercializzazione di gas di scisto (shale gas) e petrolio nel ventunesimo secolo ha aumentato notevolmente le emissioni globali di metano».

In 100 anni il metano inquina meno, e adesso?

Il potenziale climalterante di un gas (Global Warming Potential – GWP) è riferito ad un arco temporale lungo: tipicamente 100 anni. Su questo periodo si effettua il confronto rispetto all’anidride carbonica. Ebbene, il GWP del metano in 100 anni è pari a 25, quindi ai fini del riscaldamento globale, una tonnellata di metano equivale a 25 tonnellate di anidride carbonica. Siccome il metano in atmosfera è 200 volte meno della CO2, l’effetto sul clima (in cent’anni) è un decimo della CO2. Come dire che, se smetteremo di usare il metano fossile e mangeremo sempre meno carne bovina, nel 2120, i nipoti di Greta Thumberg non subiranno conseguenze apprezzabili dal metano liberato oggi.

Ma la generazione Greta Thumberg (e noi con lei) starebbe meglio se estrazione e consumo di metano, compreso shale gas, diminuissero drasticamente

E c’è da considerare anche il fatto che il metano è un gas serra molto più potente della CO2, specialmente su tempi brevi: 72 volte nei primi 20 anni dalla sua dispersione in atmosfera. La “forzante” climatica del metano avrebbe in questo secolo un ruolo decisamente più sensibile: “conterebbe” come un aumento di un terzo delle emissioni di CO2!

Conviene usare il metano? Nella produzione di elettricità, sì

Le centrali elettriche alimentate a carbone hanno in Italia un rendimento medio di conversione del 34%, le moderne a petrolio del 51%, a gas ciclo combinato anche del 56%. È quindi evidente che, per produrre elettricità da fonte fossile, conviene senz’altro usare metano, non solo dal punto di vista delle emissioni climalteranti (CO2, metano e ossidi d’azoto), ma anche e soprattutto dal punto di vista degli inquinanti dannosi per la salute e l’ambiente, come ad esempio le polveri e i composti carboniosi.

Nel 2017 il carbone ha generato 33 Twh di elettricità su 295, circa l’11% dell’elettricità prodotta in Italia, mentre le fonti rinnovabili, vecchie e nuove, nel 2018 benil 39%.

Quindi se tutto il carbone fosse sostituito da metano, usando le esistenti centrali a ciclo combinato, diminuiremmo le emissioni di CO2di ben 15 milioni di tonnellate. Se invece la stessa quantità di elettricità venisse prodotta da nuove fonti rinnovabili ridurremmo di 26 milioni di tonnellate.

È  ragionevole una iniziale sostituzione del carbone equilibrato tra rinnovabili e metano, usando le capacità inutilizzate della attuali centrali a metano usate poco.

Come carburante il metano non conviene

Per quanto riguarda l’uso del metano come carburante, si è concluso che non aumenta generalmente i rendimenti, anzi spesso, per i motori non progettati per il gas o sottoposti a carichi importanti (come i camion), rendimenti e emissioni di CO2 al Km in genere peggiorano.

Inoltre, dal punto di vista delle emissioni dannose per la salute (particolato, ossidi d’azoto, composti organici), i veicoli a metano sono da considerarsi assimilabili a quelli alimentati a benzina, almeno per le categorie emissive dagli Euro4 in poi.

Quindi, dai trasporti, non possiamo attenderci alcun miglioramento dal metano. Molto meglio migrare subito all’elettrico con mezzi pubblici, condivisi o leggeri, come ebike e micromobilità, soprattutto per chi non può permettersi o usare efficientemente automobili elettriche. Tutt’al più, ci aspettiamo una riduzione dei gas climalteranti dal biometanoper i grandi camion e  i mezzi navali per lunghe tratte, dai mezzi cioènon convertibili all’elettrico.

E in casa? Meglio niente gas

Nelle abitazioni la metanizzazione del riscaldamento (al posto della nafta o del cherosene) e la sostituzione delle cucine domestiche a legna o carbone con le cucine a gas ha rappresentato nel secolo scorso un indubbio progresso, sia dal punto di vista della salute che dell’impatto sul clima. Tutto il buono che potevamo attenderci dal metano nelle nostre case e nelle nostre città è però già stato ottenuto. Per un futuro meno inquinato, con più sicurezza, maggior salubrità e miglior qualità della vita in casa e in città, dobbiamo cominciare a ridurre il consumo di metano: le abitazioni efficienti ad emissioni ridotte, dotate di impianti rinnovabili, cucine ad induzione, pompe di calore non avranno più il contatore del gas.

Nella tabella tratta dal portale www.qualenergia.it i consumi nazionali di metano negli ultimi vent’anni

Nel Piano Energia Clima c’è troppo metano

Quindi, per ottenere una coerente e graduale decarbonizzazione, in Italia non c’è proprio motivo di attendersi un aumento del consumo di metano nei prossimi anni. Come risorsa di transizione, come “soluzione ponte” per approdare alle rinnovabili, non ha ragione di essere, se non marginalmente e transitoriamente a fronte della chiusura delle centrali a carbone.

Purtroppo non è quello che sta scritto nel Piano Clima (PNIEC) del governo. Il Piano prevede, infatti, una riduzione del consumo di energia primaria da 155 Mtep (milioni di tonnellate equivalenti di petrolio) a 135 Mtep al 2030: ma si tratta solo del 5% in meno di quanto già spontaneamente industria e comportamenti individuali avrebbero fatto anche senza politiche pubbliche.

Viene certo confermata l’uscita dal carbone nella produzione elettrica, ma il petrolio diminuisce solo dal 36 al 31%. La percentuale del gas fossile rimane il 37% del totale del fabbisogno primario e solo per il 2040 una riduzione della sua percentuale al 33%. Le fonti rinnovabili crescono solo dal 18 al 28%.

Nell’approssimazione dei dati quantitativi presenti nel PNIEC (la Commissione Europea e la stessa Valutazione Ambientale Strategica del piano riconosce l’impossibilità di una valutazione quantitativa), questo significa che il consumo di questo gas metano al 2030 sarà sostanzialmente quello di oggi, attorno a 60/70 miliardi di metri cubi. A confermare tale ipotesi anche le stime di emissione in atmosfera (dal suolo italiano) di metano: da 41 a 38 milioni di tonnellate CO2 equivalenti. Non cambiano i consumi, non cambia l’inquinamento da metano al 2030.

Il paradosso: confermati i nuovi metanodotti

Si conferma, in relazione alla sicurezza energetica nazionale, la partecipazione di Snam, Eni e Italia ai nuovi metanodotti, così come la necessità di dotarsi di nuovi terminali (“gassificatori”) di importazioni di GNL (gas liquefatto) anche da Paesi impegnati nell’estrazione di “shale gas”. Il paradosso è che i metanodotti esistenti sono stati in grado di accogliere importazioni pari a 86 miliardi di Nm3 nel 2006 (20% più di oggi): cosa serve avere più metanodotti e aumentare le importazioni?

Si confermano poi tutte le politiche infrastrutturali per incrementare i consumi (metanizzazione della Sardegna, distribuzione per l’autotrazione, GNL), così come le politiche fiscali ultra favorevoli: il metano è l’unico combustibile, carburante, fonte energetica ad avere accise e tasse bassissime sino al 2030. Paga tasse centinaia di volte meno di benzina e gasolio, di altri biocarburanti avanzati (da rifiuti), decine di volte meno dell’energia elettrica, persino dell’elettricità rinnovabile. Per il metano fossile, più inquini e meno paghi.

Se il PNIEC non cambia, se la realtà non costringerà il governo a mutare politiche in questi prossimi dieci anni, l’esito sarà una riduzione talmente esigua delle emissioni climalteranti nazionali, da venir compensata dalle emissioni indirette provocate dalle perdite di metano dal pozzo al consumo finale.


Andrea Poggio è responsabile mobilità sostenibile e stili di vita presso la segreteria nazionale di Legambiente

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