«Agire subito. Il climate change sta già presentando il conto all’Italia»

Il CMCC avverte: l'Italia è al centro di un hot spot. Senza interventi le temperature aumenteranno di 7-8°C entro il 2100

Paola Mercogliano e Mauro Buonocore
© chonticha wat/iStockPhoto
Paola Mercogliano e Mauro Buonocore
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Siamo al centro di un hot spot. Poche parole, molto dirette, per descrivere il rapporto tra l’Italia e i cambiamenti climatici nei prossimi decenni. Ma, soprattutto, per capire quali sono le azioni utili da intraprendere oggi. Le scienze del clima guardano sempre al futuro. Esse analizzano lunghi periodo di tempo, raccolgono grandi quantità di dati e confrontano quel che è successo in passato – il clima che conosciamo – con quello che accadrà in futuro. Cioè con i risultati che i modelli climatici. Ovvero complesse operazioni matematiche che ci dicono come cambieranno i diversi indicatori climatici (per esempio precipitazioni e temperature) in base ai gas a effetto serra che saranno emessi in atmosfera. Maggiori gas serra, diversi cambiamenti climatici.

Un nuovo rapporto con il clima

È tutta una ricerca scientifica che guarda al futuro, dunque. Ma è una conoscenza che ci serve oggi, perché è oggi che ci è utile cercare le soluzioni per affrontare e minimizzare gli impatti negativi sulla società, sulle economie, sulle vite delle persone e sugli ecosistemi. Ed ecco che capire il significato di quelle poche parole in apertura, diventa una condizione utile a capire che cosa succede in Italia, cosa possiamo attenderci in futuro, e come indirizzare, pianificare, costruire il rapporto del nostro Paese con un clima che sarà, ed ha già iniziato ad essere, diverso da quello che è stato nel secolo scorso.

L’Italia, nel cuore della Regione Mediterranea, è al centro di un’area geografica caratterizzata da elevata vulnerabilità ed alta esposizione ai cambiamenti climatici. Un hot spot, per l’appunto, proprio come definito nel glossario a corredo dell’ultimo rapporto di valutazione sui cambiamenti climatici dell’IPCC, l’organismo delle Nazioni Unite che periodicamente sintetizza la produzione scientifica mondiale sull’argomento, e che ha recentemente ribadito la situazione mediterranea nel rapporto speciale sulla possibilità di contenere il riscaldamento globale del pianeta entro 1,5°C rispetto all’età pre-industriale.

I modelli climatici avvertono: stiamo andando verso i +4°C

Il clima, però, cambia in maniera diversa in aree diverse, e per capire quali sono gli scenari plausibili per il futuro dell’Italia, sono necessari appositi studi e strumenti. È quello che è stato fatto per la redazione del documento di supporto scientifico al Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici, attualmente in fase di revisione e disponibile sul sito del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare.

Il documento è stato realizzato utilizzando il modello climatico del CMCC nella configurazione ottimizzata sull’Italia, in collaborazione con molti studiosi del settore sono stati poi individuati degli indicatori climatici che sono molto importanti per analizzare variazioni di frequenza e intensità di alcuni impatti principali che sono collegati a fenomeni meteo-indotti, quali ad esempio desertificazione, disponibilità di risorse idriche, stato degli ecosistemi e della biodiversità.

Incremento della temperatura globale elaborato dall’IPCC, osservato e secondo due scenari di previsione RCP 4.5 e RCP 8.5 © FMI, Outlook 2017

Come cambierà il clima a fine secolo

I numeri ci aiuteranno ad essere più chiari e vediamo le variazioni a fine secolo rispetto al periodo di riferimento 1981-2010. Le temperature, ad esempio, mostrano in tutte le stagioni un generale aumento compreso tra i 3 °C e i 4 °C nello scenario che gli esperti chiamano RCP4.5. Ossia quello in cui si ipotizza che entro il 2070 le emissioni di CO2 scendano al di sotto dei livelli attuali e la concentrazione in atmosfera si stabilizzi entro la fine del secolo a circa il doppio dei livelli preindustriali.

La situazione cambia ulteriormente se prendiamo in considerazione uno scenario in cui si ipotizza che non si prendano misure per la riduzione delle emissioni di gas serra e che entro il 2100 le concentrazioni atmosferiche di CO2 siano triplicate o quadruplicate rispetto ai livelli preindustriali. In questo caso (che gli scienziati chiamano RCP8.5) le temperature mostrano un riscaldamento considerevolmente più alto, caratterizzato da una spiccata stagionalità, con un generale aumento sui 7/8 °C in estate sull’intero territorio italiano.

Proiezioni climatiche stagionali di anomalia della temperatura media per il periodo 2071-2100, rispetto al periodo di riferimento 1981-2010, per gli scenari RCP4.5 ed RCP8.5 © CMCC

Come cambieranno le stagioni

Per quanto riguarda le precipitazioni, lo scenario con politiche climatiche indica in inverno un moderato aumento al nord ed una lieve riduzione al sud, mentre l’autunno è caratterizzato da una generale tendenza all’aumento della precipitazione ad eccezione di alcune zone lungo l’Appennino e in Calabria. In primavera si osserva una generale riduzione delle precipitazioni, mentre in estate si nota un calo più accentuato (fino al 60%).

Il segnale di cambiamento climatico proiettato dallo scenario senza riduzione di emissioni di gas serra è analogo a quello appena descritto per inverno, primavera ed estate, ma con valori più accentuati. In particolare in estate si osserva che la generale riduzione di precipitazione raggiunge valori fino al 100%.

Per il Pil, un rischio crollo dell’8%

Sono numeri che acquistano un significato ancora più definito e chiaro se letti insieme all’analisi della loro interazione con l’economia italiana. «I cambiamenti climatici presentano il conto al nostro paese», ha affermato Massimo Tavoni nel presentare lo studio realizzato insieme ai colleghi del CMCC Francesco Bosello e Shouro Dasgupta e che costituisce la prima parte della Relazione sullo stato della Green Economy 2019. Ai cambiamenti climatici, vi si legge, è collegata una perdita di Pil che supererebbe l’8% nella seconda metà del secolo, con un ulteriore incremento del divario tra regioni del Nord e regioni meridionali.

Gli studi del clima, è vero, guardano al futuro, ma quest’ultimo dipende molto dalle scelte che facciamo oggi, e se la scienza è capace di disegnare un ritratto del clima dei prossimi decenni, queste informazioni mettono le nostre società nelle condizioni di poter intervenire da subito costruendo strategie e pianificando interventi mirati sulle esigenze del proprio territorio.


Paola Mercogliano dirige la Divisione REMHI (modelli regionali ed impatti geo-idrologici) della Fondazione Centro Euro Mediterraneo sui cambiamenti climatici (CMCC).

Mauro Buonocore dirige le attività di comunicazione e i rapporti con i media della Fondazione CMCC – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici.

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