Giustizia climatica: mettere al centro l’ambiente, non l’uomo
Il diritto ha delle responsabilità nella crisi climatica. Ce le illustra il giurista Ugo Mattei, autore, con il fisico Fritjof Capra, di "Ecologia del diritto"
Diritto e ambiente, due concetti che non viene spontaneo associare. Ma in realtà, se ci pensiamo, il concetto di legge esiste in entrambi gli ambiti: nelle scienze naturali ci sono le leggi della natura, nella giurisprudenza le leggi umane. Due mondi che si incontrano nel libro “Ecologia del diritto”, edito da Aboca e scritto a quattro mani da Fritjof Capra, fisico teorico, famoso per il suo “Il Tao della fisica”, e Ugo Mattei, giurista, professore di diritto internazionale e comparato all’Hastings College of the Law dell’Università della California a San Francisco e di diritto civile all’Università di Torino.
Due concetti, quelli di diritto e di ecologia, che si sposano per affrontare il tema dell’emergenza climatica, per spiegare come siamo arrivati all’attuale crisi e come potremmo uscirne. Per farci spiegare come questo potrebbe avvenire abbiamo intervistato il professor Ugo Mattei.
Che cosa si intende per “giustizia climatica”?
Il capitalismo attuale impatta in modo iniquo sui poveri rispetto ai ricchi. Intendendo per poveri il Sud del mondo. Abbiamo un’impronta ecologica globale di circa 1,5, che significa che consumiamo ogni anno risorse superiori a quelle che la Terra è in grado di riprodurre con processi naturali del 50%. È come se guadagnassi 100 euro e spendessi 150.
Ma quello ambientale è un debito terribile, che ricade, appunto, sula parte povera del mondo, e sulle generazioni future, e che spiega gran parte della crisi climatica. Ma è un debito che non è contratto in modo eguale da tutti. L’Occidente ricco ha un impatto ecologico molto più alto. L’Europa è vicino a 5, gli Usa a 6. Ci vorrebbero cioè 5-6 Pianeti per soddisfare la fame del Nord del mondo. Se il mondo ha un impatto ecologico di “appena” 1,5 è perché una gran fetta del Pianeta è ben al di sotto di 1. Il Sud del mondo impatta meno di quanto produce.
La giustizia climatica tenta di mettere in connessione gli effetti della catastrofe ecologica con le sue responsabilità: quelle dei ricchi che scaricano sui poveri le conseguenze del loro stile di vita. Per soddisfare i loro bisogni, reali o indotti, consumano le risorse del Sud del mondo.
Il progresso tecnologico ne è l’esempio lampante: per produrre smartphone sempre più avanzati si estraggono risorse dal Sud del mondo, provocando guerra e miseria. Basta pensare alle pietre rare estratte nel centro Africa per i circuiti dei telefonini.
Il capitalismo globale ha una mentalità estrattiva. Ed è basato su un’infrastruttura di diritto. I giuristi come gli scienziati hanno una responsabilità nell’attuale crisi climatica.
Ecologia del Diritto – Fritjof Capra
Quindi l’innovazione tecnologica è un problema?
Il problema è che l’innovazione tecnologica è considerata una conseguenza della libertà individuale: deve essere perseguita anche a discapito dell’ambiente, senza freni. Quando immettiamo nel mercato un nuovo farmaco facciamo moltissime verifiche sui suoi impatti. Invece le innovazioni tecnologiche vengono immesse sul mercato senza alcuna sperimentazione. La conseguenza è che siamo diventati tossicodipendenti da cellulari. Con un impatto sull’ecosistema che non vediamo e ignoriamo, a carico delle generazioni future. A tutto guadagno delle multinazionali che producono i dispositivi tecnologici.
Come porre fine a questa situazione?
Innanzitutto guardando in modo critico questi processi, non considerandoli separati: la crisi climatica da una parte e l’evoluzione tecnologica dall’altra, ma vedendoli come un unico problema. Oggi parliamo di catastrofe ambientale, finalmente se ne discute. Siamo 50 anni in ritardo. Si sta diffondendo una consapevolezza anche grazie a Greta Thunberg e al movimento nato attorno a lei.
Ma il problema ambientale viene posto come scollegato dall’evoluzione tecnologica. Ma non è così. Lo sviluppo tecnologico lascia dietro di se un enorme impatto ambientale, in termini di consumo di acqua, di risorse naturali e di energia. In termini di estrazione di materie prime e di rifiuti da smaltire. Non li vediamo perché consideriamo la tecnologia separata dall’ambiente.
Serve un pensiero radicale che metta in discussioni le basi stesse dello sviluppo capitalistico. Come dice uno degli slogan sui cartelli dei ragazzi che manifestano per la tutela dell’ambiente “la questione ecologica se discostata dal capitalismo è giardinaggio”.
E il diritto che ruolo ha in questo contesto?
Il diritto oggi, anziché essere parte della soluzione, è parte del problema: rende giuridicamente lecito il pensiero estrattivo. Giustifica questa situazione in cui è concesso al Nord del mondo di mangiare alle spalle del Sud.
È necessario ripensare interamente le basi del diritto, i confini tra legale e illegale, mettendo al centro l’ambiente, la natura, la Terra e non l’uomo.
Non si può vedere il diritto ambientale come un’eccezione: la regola è la difesa della proprietà privata, anche calpestando l’ambiente, e la tutela dell’ambiente è un’eccezione. Il diritto se pensato in chiave ecologica deve avere al primo posto la tutela dell’ambiente.
Bisogna far diventare il diritto una soluzione del problema, uscire dalla dimensione individualizzante del capitalismo, in cui gli individui sono lasciati soli, gli uni in lotta con gli altri. Ricostruendo un pensiero di beni comuni e solidarietà, che può farci vivere con bisogni ridotti. Oggi abbiamo costruito bisogni indotti da cui siamo dipendenti, biosogni insostenibili pagati da Sud del mondo e dalle generazioni future.
Ecologia del diritto – Ugo Mattei
Quindi il problema è che l’individuo è messo in primo piano e l’ambiente viene dopo?
Il diritto riflette una visione cartesiana del mondo, con l’uomo al centro e il mondo esterno, compreso l’ambiente, come un oggetto materiale, sul quale l’uomo ha pieno potere. La proprietà privata vince su tutto: in funzione della difesa della libertà individuale e della proprietà privata il diritto concede all’uomo anche di distruggere l’ambiente, che è alla mercè dell’uomo. Oggi siamo arrivati al capolinea di questo modello. Le proteste lanciate da Greta Thunberg puntano l’attenzione su queste questioni: l’uomo non è al centro. Non è vero che dominiamo la natura. Possiamo solo estrarre le ricchezze che usiamo ma che non sono purtroppo spesso riproducibili.
Bisogna ricordarsi che l’uomo non è solo al mondo. Ci sono altre creature: gli animali e la natura in generale, che condividono con noi la Terra.
E noi cosa possiamo fare?
Prima di tutto acquisire consapevolezza. I nostri stili di vita e di consumo sono enormemente impattanti. Ne è un esempio lampante l’acqua minerale nelle bottiglie di plastica: una follia.
Le bottiglie di acqua dovrebbero essere un crimine contro l’umanità.
Abbiamo dell’ottima acqua del rubinetto, ma nessuno la beve. Vale anche nel Sud del mondo: si dice che l’acqua in bottiglia sia necessaria per motivi sanitari. Ma invece che portare bottiglie d’acqua di plastica, bisognerebbe costruire sistemi idrici che distribuiscano acqua pulita. Vendere bottigliette d’acqua rende ancora una volta il Sud del mondo dipendente dal Nord.