Decarbonizzare si può: grazie all’idrogeno (quello pulito…)
L'idrogeno può rappresentare un valido alleato per liberarsi dal giogo delle fonti fossili. Ma attenzione: ce ne sono di diversi tipi. E non tutti positivi
L’economista Jeremy Rifkin lo aveva predetto già 17 anni fa e aveva ragione. L’idrogeno è parte fondamentale di un futuro energetico pulito e sicuro, per arrivare alla decarbonizzazione dell’economia globale e salvare il pianeta dal riscaldamento, entro il 2050. Parole messe nero su bianco, lo scorso giugno, in occasione del G20, anche dalla International Energy Agency in uno specifico rapporto che individua l’idrogeno come il vettore energetico necessario per immagazzinare la produzione da fonti rinnovabili, come il solare fotovoltaico e l’eolico.
Per sviluppare ricerca, nuove infrastrutture ed estendere le sue applicazioni occorre, però, un’azione internazionale congiunta, precisa l’IEA. Intanto quello che per anni è rimasto un processo troppo costoso e oneroso, proprio con il crollo dei costi per la produzione di energie rinnovabili è destinato a divenire realtà. E, ancora una volta, bisogna concordare con Jeremy Rifkin che in «The Green New Deal» teorizza come, entro il 2028, almeno parte delle spedizioni su strada, ferrovia e vie d’acqua sarà effettuata da mezzi elettrici e a idrogeno, alimentati da energie rinnovabili a emissioni zero.
International Energy Agency: entro il 2030, 2,5 milioni di auto a idrogeno
Una visione ampiamente confermata proprio dal rapporto della International Energy Agency. Che prefigura l’espansione dell’utilizzo dell’idrogeno pulito nei trasporti pubblici e privati e nel riscaldamento nei prossimi dieci anni. «Attualmente ci sono circa 11.200 auto a idrogeno sulla strada in tutto il mondo. Gli obiettivi governativi esistenti richiedono che tale numero aumenti drasticamente a 2,5 milioni entro il 2030» affermano gli esperti.
La decarbonizzazione potrà essere poi estesa a una vasta gamma di settori. Compresi i trasporti a lungo raggio, la produzione chimica, di ferro e acciaio, in cui è difficile ridurre significativamente le emissioni. Aiutando a migliorare la qualità dell’aria e rafforzare la sicurezza energetica. La combustione dell’idrogeno con l’ossigeno produce vapore puro, che ha molte applicazioni nei processi industriali e nel riscaldamento degli ambienti. Inoltre, l’idrogeno è un importante gas industriale e materia prima in numerosi settori industriali, quali computer, metallurgico, chimico, farmaceutico, fertilizzante e alimentare.
Idrogeno grigio, blu e verde: come vengono prodotti?
«L’idrogeno non si trova libero in natura, ma è legato al carbonio negli idrocarburi e all’ossigeno nell’acqua. Non è quindi una fonte di energia ma un vettore energetico. Per separarlo esistono diversi processi» conferma a Valori, Massimo Santarelli docente del Dipartimento di Energetica del Politecnico di Torino.
Attualmente il 60% della produzione internazionale, centralizzata, è costituita da «idrogeno grigio», ricavato dal gas partire da gas naturale e carbone di origine fossile. Ricorrendo a un processo di conversione termochimica che, ancora più competitivo economicamente, produce, però, CO2. Secondo la stessa IEA, la sua produzione, principalmente per le industrie chimiche e di raffinazione, è responsabile di 830 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica all’anno. L’equivalente delle emissioni annuali di carbonio del Regno Unito e dell’Indonesia messe insieme.
Nell’attuale fase di transizione energetica, un approccio per ovviare al problema delle emissioni, consiste nel catturare e immagazzinare o utilizzare la CO2 dalla produzione di idrogeno da combustibili fossili. Il prodotto di questi processi è il cosiddetto idrogeno blu.
Le ricerche attuali si stanno concentrando, invece, sull’idrogeno verde, a impatto zero, che nasce dal processo di elettrolisi dell’acqua. Dove, con l’utilizzo di energia elettrica si separano le molecole di ossigeno e idrogeno. L’operazione, effettuata in abbinamento a fonti rinnovabili (eolico, solare, idroelettrico), rende il processo senza emissioni di anidride carbonica e carbonio. In prospettiva, con l’aumento delle produzione di energie rinnovabili globale in modo distribuito, potrebbe renderlo finalmente conveniente. Oltre che per il clima anche per il portafoglio degli utenti finali.
Le utility del gas fossile spingono per la produzione di idrogeno blu
Ma entro il 2030, come prevede la IEA, la disponibilità di idrogeno pulito, non derivante da fonti fossili, si dovrà basare su una efficiente rete di distribuzione e produzione. «Proprio quest’ultima è un aspetto critico, in quanto richiede notevoli quantità di energia. Ma l’uso di fonti rinnovabili è particolarmente interessante in quanto il ciclo energetico completo sarebbe ad impatto ambientale quasi nullo» conferma Santarelli.
L’abbassamento dei costi di produzioni delle rinnovabili, con il primato europeo e cinese, potrebbe mettere quindi in competizione le due diverse produzioni di idrogeno. Come si legge nell’analisi « Gas for climate», promossa dalle stesse utility del gas naturale mondiale tra cui Snam, «la velocità con cui l’idrogeno verde può sostituire l’idrogeno blu dipende dalla velocità con cui è possibile produrre tutta la domanda diretta di elettricità da fonti rinnovabili e dalla velocità con cui è costruita la capacità aggiuntiva di generazione di energia rinnovabile. Dipende, inoltre, dal fatto che i responsabili politici limiteranno l’uso dell’idrogeno blu entro il 2050».
L’uso delle celle a combustibile: per auto, bus e riscaldamento
Altre tecnologie a impatto zero, attualmente, sono in corso di analisi e sperimentazione, come confermano dal Dipartimento Energia del Politecnico di Torino. Pirolisi, fotolisi, cicli termochimici, addirittura l’utilizzo di alghe verdi e cianobatteri, in grado, nella loro attività metabolica, di produrre una scissione della molecola di acqua in idrogeno e ossigeno. Usando come fonte di energia il solo irraggiamento solare.
Ma nel settore dell’utilizzo finale dell’idrogeno, le tecnologie più promettenti sono rappresentate dai convertitori elettro chimici noti come «celle a combustibile». Come spiega Santarelli, «una cella a combustibile è, in sostanza, un reattore elettrochimico in cui avviene la reazione di sintesi dell’acqua. A partire dagli elementi che la costituiscono, idrogeno e ossigeno, con produzione di potenza elettrica e calore».
Processo ad elevata efficienza e sostenibilità ambientale, in quanto il prodotto di reazione è, appunto, vapore acqueo. Oggi i mercati di riferimento della tecnologia delle celle a combustibile sono diversi, a secondo delle diverse tipologie sviluppate dalla ricerca. Si va dalle celle a combustibile usate per il mercato automotive (PEMFC) a quelle utilizzate per il riscaldamento residenziale in cogenerazione (PEMFC e SOFC). Fino a quelle ad alta temperatura (SOFC, MCFC) che hanno una prospettiva di mercato legata al settore dei biogas e biocombustibili.
La Commissione Ue: terminata la consultazione per l’idrogeno verde
Intanto, anche in Italia, oltre le auto private, l’applicazione dell’idrogeno si sta diffondendo nel trasporto pubblico: a settembre l’annuncio della flotta nazionale di Flixbus, fino ai primi pullman delle amministrazioni di Milano,Torino, Bolzano e Sanremo. E per i nuovi mezzi a emissioni zero le amministrazioni possono ricevere una quota di cofinanziamento dall’Unione Europea.
Secondo lo studio Snam-Mckinsey, presentato lo scorso ottobre davanti al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, l’idrogeno in Italia, potrebbe arrivare a fornire fino al 23% della domanda nazionale di energia entro il 2050. In uno scenario di decarbonizzazione al 95%. Intanto, proprio in queste settimane si è chiusa la prima consultazione pubblica della Commissione, Energy – European Partnership for clean hydrogen, a sostegno di un settore dell’idrogeno pulito in grado di sostenere e consentire la transizione energetica, in modo innovativo e competitivo.