Clima, gli scienziati Onu: investire $22mila miliardi per risparmiarne 54mila
Mentre i ragazzi scioperano per il clima, il Programma ONU sull'ambiente calcola: intervenire farà risparmiare miliardi e salverà milioni di vite umane
È scattato il medesimo allarme rosso per il clima, la salute e la sicurezza alimentare: «I danni causati al pianeta sono così importanti che, se non verranno prese delle misure urgenti, la salute delle popolazioni verrà sottoposta a minacce crescenti». Parole chiare e, soprattutto, supportate dalla rigorosa analisi sviluppata da 250 scienziati ed esperti provenienti da oltre 70 Paesi.
Questo è il senso del Global Enviroment Outlook (GEO6) pubblicato dall’Onu alla fine di uno studio durato 5 anni. Una sorta di documento definitivo, dell’ora o mai più, presentato a Nairobi alla United Nations environment assembly, forum ambientale di massimo livello, di fronte ai ministri dell’Ambiente di tutto il mondo. Cioè di fronte ai decisori politici che hanno il potere di imprimere la necessaria e ormai ineluttabile iniezione di finanziamenti alla lotta contro gli effetti del cambiamento climatico in corso.
Di più. Nell’ampio rapporto si sviluppa un’indagine omnicomprensiva in grado di mettere in relazione aspetti climatici ed ecologici, economici e sociali, di sicurezza alimentare e occupazionale, con un’evidenza dei meccanismi di causa-effetto su cui chiudere gli occhi sarebbe un crimine contro l’umanità. Mentre incombe l’avvicinamento ad un punto in cui certi fenomeni saranno irreversibili.
Contrasto al cambiamento del clima: 22mila miliardi o una catastrofe sanitaria
Certo, se siamo giunti a lanciare gli ultimatum, non possiamo aspettarci che la soluzione della sfida climatica, prospettata già nell’Accordo di Parigi del 2015, sia a costo zero.
Ma è pur vero che, se stiamo a guardare uno dei capitoli più preoccupanti, quello dei rischi per la salute umana, dal raggiungimento del traguardo climatico di mantenere il riscaldamento globale entro i 2 °C avremo un beneficio finanziario netto. Quanto? Un risparmio di ben 32 trilioni di dollari di spesa sanitaria aggiuntiva, rispetto ai 54 trilioni previsti se non investiamo nelle politiche globali di contrasto al climate change “solo” 22 trilioni di dollari.
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Dall’inquinamento un decesso su quattro: antibiotici, plastica e fitofarmaci
Basti pensare alla relazione tra cambiamenti climatici e inquinamento, alla quale viene attribuito il 25% di morti e malattie sulla Terra, concentrate soprattutto nei Paesi in via di sviluppo e nelle porzioni di popolazione più vulnerabili sul piano economico e sociale. Parliamo di 9 milioni di decessi nel 2015.
Sotto accusa finiscono in particolare gli inquinanti nei sistemi di acqua dolce. Nella maggior parte delle regioni del mondo la qualità dell’acqua è infatti peggiorata dal 1990, a causa di inquinamento organico e chimico. Un deterioramento è stato causato da agenti patogeni, pesticidi, sedimenti, metalli pesanti, plastica e microplastiche, inquinanti organici persistenti.
Fenomeni complessi in cui rientra ad esempio l’abuso di antibiotici, specialmente negli allevamenti intensivi. Proprio a questi ultimi è stata spesso connessa una crescita della resistenza antimicrobica, che potrà diventare una delle principali cause di morte entro il 2050. Ma non va trascurato il sempre più studiato inquinamento da interferenti endocrini, sostanze che avranno un impatto sulla fertilità maschile e femminile così come sul neurosviluppo dei bambini.
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Dall’inquinamento un decesso su quattro: l’aria che respiriamo
Tuttavia, secondo gli scienziati dell’Onu, «il più grande rischio ambientale per la salute è l’inquinamento atmosferico». In uno scenario business-as-usual (cioè se non cambia qualcosa\) si prevede che continuerà ad avere effetti negativi significativi. Con studi che stimano tra 4,5 milioni e 7 milioni di morti premature entro la metà del secolo.
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Obiettivi di sviluppo sostenibile. A che punto è l’Italia?
Bene sul fronte ambiente. Non tanto per povertà, lavoro e disparità di genere. L'istat fa il punto sul contributo dell'Italia al raggiungimento degli obiettivi fissati dall'Onu.
Al contrario, raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile, fissati dalle Nazioni unite (i famosi Sustainable Development Goal) a proposito della fame, dell’accesso all’acqua potabile, a servizi igienico-sanitari e a moderni sistemi di fornitura dell’energia, porterebbe vantaggi enormi. Consentirebbe, ad esempio, di ridurre di 400mila unità l’anno entro il 2030 la mortalità nei bambini sotto i 5 anni legata a malnutrizione, diarrea e infezioni respiratorie.
Senza contare che il miglioramento delle condizioni sanitarie generali determina notevoli vantaggi economici (attraverso una forza lavoro più numerosa e più sana), così come serie implicazioni demografiche. La diminuzione della mortalità infantile e materna, «soprattutto se combinata con una maggiore istruzione femminile e l’accesso ai servizi per la salute sessuale e riproduttiva, compresa la contraccezione moderna» produce tendenzialmente tassi di fertilità più bassi nel lungo periodo, frenando così la crescita della popolazione, ovvero uno dei principali fattori di degrado ambientale.
Biodiversità che cala e dieta da cambiare: le prescrizioni dell’Onu
Insomma, il quadro è pessimo. Bisogna agire, e in fretta. E così, conto dei danni a parte, guardando i ghiacci che si sciolgono e il patrimonio di biodiversità che si riduce, il rapporto dell’Onu dice anche che le soluzioni esistono, sebbene non sia facile adottarle. E ci impongono un deciso mutamento – condiviso e collettivo – del modello economico e di sviluppo.
Pertanto gli scienziati ricordano che «diete sostenibili e sane, riducendo i rifiuti alimentari sia nei Paesi in via di sviluppo sia in quelli sviluppati, e l’adozione di pratiche agricole sostenibili potrebbero contribuire a soddisfare le esigenze nutrizionali dei 9-10 miliardi di persone». Cioè il numero di individui che popoleranno il pianeta nel 2050.
Ma per raggiungere certi traguardi bisogna “educare” un sistema che attualmente butta nell’immondizia il 33% del cibo commestibile globale, per uno spreco prodotto al 56% dai Paesi più ricchi e industrializzati. Ed è necessario anche promuovere il ripristino degli habitat naturali, prevenire il degrado del territorio e la scarsità d’acqua.
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Basta fonti fossili
E infine, ça va sans dire, è imprescindibile una «graduale eliminazione dell’uso di combustibili fossili», puntando quindi su quelli a basse emissioni di gas climalteranti e sulle bioenergie sostenibili. Risorse disponibili e clima non reggerebbero infatti un consumo globale di energia che la stima peggiore sostiene aumenterà del 63% nel periodo 2014-2040. Un consumo dovuto in misura sempre maggiore a Paesi con economie in crescita e dipendenti da fonti energetiche sporche.