«We don’t need no education», cantavano i Pink Floyd. Ma è la finanza, oggi, a dare il ritmo al mondo della musica.
Cataloghi, diritti e streaming sono diventati asset da cui ricavare profitti, e pochi grandi colossi dominano ormai il mercato. Con il risultato di una produzione musicale sempre più standardizzata, che lascia poco spazio alla sperimentazione e alle esperienze indipendenti.
Ma se la musica diventa solo un investimento, che ne è del suo valore culturale e collettivo? È la domanda da cui parte questo dossier, che analizza dati, voci e prospettive di chi la musica continua a farla, studiarla e viverla.